Attualità

La Repubblica

 

La Giornata mondiale dedicata al fenomeno del lavoro minorile si celebra tra dati statistici, appelli (compreso quello di Papa Francesco) e proposte alla cosiddetta “comunità internazionale” affinché si adottino misure che ridiano dignità ai piccoli lavoratori, che nel mondo sono 215 milioni. I dati su quanti di loro fanno i camerieri, fin da piccoli, nelle case dei ricchi

ROMA – Nel mondo il numero di bambini e adolescenti che lavorano è di 215 milioni. Di questi, 115 milioni svolgono lavori pericolosi, comprese le forme peggiori di lavoro minorile. I dati sono stati resi noti dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, dedicata al tema del lavoro domestico, che si celebra oggi, 12 giugno.

La voce di Papa Francesco. S’è subito levata alta la voce di Papa Francesco, che ha lanciato un appello contro la “piaga” del lavoro minorile e contro lo “sfruttamento dei bambini nel lavoro domestico, un deprecabile fenomeno – ha detto – in costante aumento specialmente nei Paesi poveri”, e ha auspicato “vivamente” “provvedimenti ancor più efficaci” della comunità internazionale.

Un fenomeno in aumento. Secondo l’Ilo, “il lavoro domestico dei minori è un fenomeno largamente diffuso e in costante aumento: almeno 15,5 milioni di bambini, perlopiù femmine, sono vittime di questa forma nascosta di sfruttamento, che comporta spesso anche abusi, rischi per la salute e violenze”.  L’ILO è diventata la prima agenzia specializzata delle Nazioni Unite nel 1946, ma è stata fondata nel 1919, con lo scopo di perseguire una visione fondata su una premessa universale, quella secondo la quale una pace duratura può essere stabilita solo se basata sulla giustizia sociale. In occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, l’Ilo “rivolge un appello alla comunità internazionale per avviare riforme della normativa e delle politiche dirette all’eliminazione del lavoro domestico minorile e a stabilire condizioni di lavoro dignitose e protezione adeguata per i giovani e le giovani lavoratrici di questo settore che abbiano raggiunto l’età minima di ammissione al lavoro”.

La ratifica della Convenzione 189. L’Ilo chiede anche di “avviare le procedure di ratifica della Convenzione 189 sul lavoro dignitoso per i lavoratori e le lavoratrici domestiche, e assicurarne l’applicazione insieme alle convenzioni dell’Ilo sul lavoro minorile (numero 182 sulle peggiori forme di lavoro minorile e 138 sull’età minima)”. L’Organizzazione internazionale del lavoro auspica anche di “prendere misure adeguate per rafforzare il movimento globale contro il lavoro minorile e costruire le capacità delle organizzazioni sindacali del settore domestico per affrontare il problema del lavoro minorile”.

Piccoli camerieri. Oltre 15 milioni di bambini nel mondo lavorano come domestici, spesso a rischio di abusi fisici, psicologici e talvolta sessuali. L’allarme è sempre dell’Ilo: “Lavorano molte ore, non hanno la libertà personale, e spesso si tratta di lavoro nero”, ha spiegato Constance Tommaso, Direttore del Programma dell’ILO per l’eliminazione del lavoro minorile (IPEC). Si tratta di bambini costretti a fare anche i lavori più pesanti, spesso malnutriti e umiliati, ha aggiunto spiegando che questo esercito di 15,5 milioni di bambini-domestici rappresenta il 5% del lavoro minorile nel mondo stimato in 305 milioni di minori, dai 5 ai 17 anni.

Domestiche a 5 anni. La maggior parte dei baby-domestici (il 73%) sono bambine, tra i 5 ed i 14 anni. “Il lavoro domestico dei bambini riguarda tutte le regioni del mondo”, ha aggiunto Thomas, affermando che l’utilizzo dei minori in questo tipo di impiego è comunque pratica comune in alcuni paesi africani, come il Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana e Mali.

Il fenomeno in Italia. Sono 260.000 i minori sotto i 16 anni coinvolti, più di 1 su 20. Sono poi 30.000 i 14-15enni a  rischio sfruttamento, con conseguenze per la salute, la sicurezza o l’integrità morale. A Roma sono stati presentati, alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Enrico Giovannini, del Sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria, del Segretario Generale della CGIL Susanna Camusso, i primi dati dell’indagine realizzata da Associazione Bruno Trentin e Save the Children, unici riferimenti numerici sul fenomeno, assenti da ben 11 anni.

Una storia tra le altre. Vive a Napoli, ha 9 anni e lavora in un cantiere a spostare sacchi di cemento che pesano quasi quanto lui, per 10 euro alla settimana. Questa una delle storie emerse nell’indagine sul lavoro minorile in Italia. I bambini che lavorano sono il 5,2% del totale, nella fascia di età 7-15 anni; tra i 260.000  pre-adolescenti lavoratori, a causa delle condizioni familiari, si registra un rapporto con la scuola che non ha funzionato, oppure l’esigenza  di far fronte da soli ai propri bisogni; fra i 30.000, compresi tra 14 e15 anni, ci sono moltissimi impegnati in lavori pericolosi, e notturni notte, per i quali appare definitivamente compromessa ogni possibilità di andare a scuola gli studi, oltre ad avere inibito ogni piccolo spazio per il divertimento o il riposo.

L’ingresso anche prima degli 11 anni. S’inizia anche molto presto, prima degli 11 anni (0,3%),  ma  è col crescere dell’età che aumenta l’incidenza del fenomeno (3% dei minori 11-13enni), per raggiungere il picco di quasi 2 su 10 (18,4%) tra i 14 e 15 anni, età di passaggio dalla scuola media a quella superiore, nella quale si materializza in Italia uno dei tassi di abbandono scolastico più elevati d’Europa (18,2% contro una media EU27 del 15%)(5) . Il lavoro minorile non fa differenze di genere (il 46% dei minori 14-15enni che lavorano sono femmine).

Le attività micro-familiari. Le esperienze di lavoro dei minori tra i 14 e 15 anni sono in buona parte occasionali (40%), ma 1 su 4 lavora per periodi fino ad un anno e c’è chi supera le 5 ore di lavoro quotidiano (24%). La cerchia familiare è l’ambito nel quale si svolgono la maggior parte delle attività. Per il 41% dei minori si tratta infatti  di un lavoro nelle mini o micro imprese di famiglia, 1 su 3  si dedica ai lavori domestici continuativi(6)  per più ore al giorno, anche in conflitto con l’orario scolastico, più di 1 su 10 lavora presso attività condotte da parenti o amici, ma esiste un 14% di minori che presta la propria opera a persone estranee all’ambito familiare.

La maggioranza nella ristorazione. Tra i principali lavori svolti dai minori fuori dalle mura domestiche prevalgono quelli nel settore della ristorazione (18,7%), come il barista o il cameriere, l’aiuto in cucina, in pasticceria o nei panifici, seguito dalla vendita stanziale o ambulante (14,7%), dove si fa il commesso o toccano le pulizie, insieme al lavoro agricolo o di allevamento e maneggio degli animali (13,6%), ma non manca il lavoro in cantiere (1,5%), spesso gravoso e pieno di rischi, o quello di babysitter (4%). In ogni caso, ciò che emerge dalla ricerca partecipata qualitativa che ha coinvolto 163 minori a Napoli e Palermo, è lo scarso valore delle attività  svolte da ragazze e ragazzi anche giovanissimi, che di fatto non insegnano nulla e non possono quindi essere messe a capitale per una futura professione.

Condizioni meno negoziabili. Meno della metà dei minori che lavorano tra i 14 e 15 anni dichiara di ricevere un compenso (45%), di questi solo 1 su 4 lavora all’esterno della cerchia familiare.  “Al di là dei numeri che descrivono un fenomeno non marginale e in continuità da un punto di vista quantitativo con gli ultimi dati che risalgono ormai al 2002, l’indagine mette in evidenza come la crisi economica in atto rende ancora meno negoziabili le condizioni di lavoro dei minori, esponendoli ad ulteriori rischi,” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children.

Non c’è consapevolezza dello sfruttamento. “Nonostante orari in alcuni casi pesantissimi, paghe risibili e rischi per la salute, come nel caso di chi lavora dalle 4 e mezzo di mattina alle 3 di pomeriggio con le mani nel ghiaccio per un pescivendolo ricavandone a mala pena 60 euro a settimana – continua Raffaela Milano – la maggioranza dei minori raggiunti con la ricerca partecipata non ha la consapevolezza di essere sfruttata, e non sa nemmeno che cos’è un contratto di lavoro. Nell’indagine è stata ricostruita una mappatura delle aree a maggior rischio di lavoro minorile in Italia – ha detto ancora l’ex assessore alle politiche sociali del Comune di Roma – il rischio più elevato è concentrato nel Mezzogiorno, ma non sono escluse zone del Centro-nord”.

Le proposte per il contrasto e la prevenzione. Anche in relazione ai possibili effetti negativi della crisi, è necessario procedere tempestivamente – dice ancora Save The Children – all’adozione di un Piano Nazionale sul Lavoro Minorile che preveda, da un lato la creazione di un sistema di monitoraggio regolare del fenomeno e, dall’altro, le azioni da svolgere per intervenire efficacemente sulla prevenzione e sul contrasto del lavoro illegale, e in particolare delle peggiori forme di lavoro minorile.

Per realizzare l’indagine di Save The Children. Nell’indagine campionaria sono state realizzate 2.005 interviste a minori iscritti al biennio della scuola secondaria superiore in 15 province italiane campione (Treviso, Vicenza, Torino, Genova, Monza e della Brianza, Lecco, Pisa, Roma, Frosinone, Caserta, Avellino, Napoli, Bari, Palermo, Trapani) e in 75 scuole campione. E’ stato somministrato un questionario strutturato con modalità di autocompilazione assistita.

Storie da Terre Des Hommes. Nella Giornata mondiale contro il lavoro minorile Terre des Hommeschiede forti misure per l’eliminazione di questa forma di schiavitù nel lavoro domestico delle bambine. Maria Luisa, 13 anni, dal villaggio natale sulle Ande viene mandata a Cusco (Perù) a lavorare come domestica, nonostante una displasia all’anca che le rende difficoltosi e dolorosi i movimenti. Tra i patti, col padre, c’era che l’avrebbero mandata a scuola. Invece la famiglia dove lavora per 16-18 ore al giorno non la lascia studiare, la paga pochissimo, non ha giorni di riposo. Maltrattata continuamente perché non è abbastanza veloce, non può raccontare alla sua famiglia che sta male e che zoppica sempre di più, perché la signora la tiene chiusa in una stanza quando suo padre la viene a trovare.

Lesioni ad ogni diritto fondamentale. Il lavoro minorile domestico è una piaga nascosta che ogni anno colpisce milioni di bambine. Considerata popolarmente una forma “naturale” di occupazione per le ragazze delle famiglie più povere, quello domestico può diventare una vera e propria schiavitù in cui viene leso ogni diritto fondamentale dei bambini: alla salute, allo studio, al gioco, alla libertà, ecc. La loro dignità viene continuamente umiliata, con maltrattamenti, vessazioni e privazione di cibo. Non sono rari gli episodi di violenza e abusi, anche sessuale, ma le bambine e le ragazze che lavorano come domestiche sono quasi sempre invisibili alla società, in quanto confinate nelle case, spesso senza più alcun contatto con la famiglia d’origine.

Le bambine di Cusco. “E’ necessario adottare ogni misura possibile per eliminare questa intollerabile forma di sfruttamento delle bambine e assicurare protezione e assistenza alle vittime”, dice Mauro Morbello, delegato di Terre des Hommes in Perù. “I numeri sono ingenti: si stima che nella sola regione di Cusco quasi 4.000 bambine dai 6 ai 13 anni lavorino come domestiche senza godere di alcun diritto”. Terre des Hommes sostiene dal 2007 in Perù il centro Yanapanakusun di Cusco che si occupa dell’assistenza delle bambine vittime di sfruttamento lavorativo come domestiche e cerca di prevenire il fenomeno della migrazione delle bambine dalle campagne alle città. La causa principale è l’estrema povertà della popolazione rurale: il 49,5% degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà. Nel distretto andino di Huancarani (3.800 m. s. l. m.), dove interviene Terre des Hommes, il 49% dei bambini tra i 6 e i 9 anni soffre di denutrizione cronica e il 56% è anemico. Il centro Yanapanakusun di Cusco gestisce un hogar(centro d’accoglienza) per le ragazze che scappano da maltrattamenti e abusi perpetrati dalle famiglie e una scuola serale per bambine e bambini lavoratori.

Spezzare il circolo vizioso.
 Secondo le stime più recenti dell’UNICEF, i minori in tutto il mondo sono spesso sottoposti a carichi pesanti di lavoro e a contatto con sostanze chimiche, oltre che con orari prolungati: il 60% risulta impiegato nell’agricoltura; il 7% nell’industria e il 26% nei servizi. Nell’Africa subsahariana più di un terzo dei bambini lavora. “Il lavoro minorile è sia causa che conseguenza della povertà e del disagio sociale” – ha dichiarato Giacomo Guerrera, Presidente dell’UNICEF Italia, in occasione della Giornata contro il lavoro minorile. “Nei paesi poveri molti bambini sono costretti a lavorare perché sono orfani o separati dalle famiglie, o perché devono sostenere il reddito familiare. La crisi finanziaria globale ha ulteriormente spinto i minori ad avviarsi precocemente al lavoro, specie verso le forme di lavoro più pericolose. E per le bambine la situazione è ancora più pesante, perché oltre a lavorare, esse devono occuparsi dei lavori domestici e della cura dei fratellini più piccoli, rinunciando alla scuola. Se è vero che la povertà è il seme del problema, bisogna intervenire per spezzare il circolo vizioso povertà-lavoro minorile-ignoranza-povertà”, ha concluso Guerrera.

Menu