Caporalato, riconosciuto il reato di riduzione in schiavitù

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Secondo Yvan Sagnet, che guidò la rivolta dei lavoratori nel 2011, con la sentenza
di Lecce «è stata fatta giustizia non soltanto per chi è stato vittima di quel crimine»
Per la prima volta nella storia della giustizia italiana, giovedì 13 luglio la Corte d’Assise di Lecce ha
riconosciuto il reato di riduzione in schiavitù in un procedimento giudiziario che interessa il mondo
del lavoro. Con questa sentenza si è chiuso il primo grado del processo Sabr, relativo allo
sfruttamento dei lavoratori agricoli nelle campagne di Nardò tra il gennaio del 2009 e l’ottobre del
2011. Con la condanna di 13 persone, tra imprenditori italiani e caporali stranieri, è stata in parte
riconosciuta la natura di «organizzazione criminale transnazionale» proposta dal giudice delle
indagini preliminari di Lecce, Carlo Cazzella.
Nella masseria Boncuri, nelle campagne di Nardò, veniva sistematicamente negata la dignità
umana: i braccianti stranieri venivano sottoposti a turni di lavoro nei campi di oltre 10 ore, senza
riposo settimanale, per una paga di non più di 25 euro al giorno, nella maggior parte dei casi in
nero. Inoltre, una parte consistente del salario veniva trattenuta dal caporale e dall’intermediario,
perché la condizione di clandestinità di gran parte dei lavoratori li poneva nella condizione di
doversi piegare a qualsiasi trattamento.
Secondo le indagini, la gran parte dei lavoratori sfruttati sbarcava in Sicilia, soprattutto a Pachino,
un centro noto per la coltivazione del pomodoro, e da qui le persone venivano reclutate
dall’organizzazione. Gli uomini erano trattati come schiavi, ammassati in casolari abbandonati e
fatiscenti, privi di servizi igienici e arredi, costretti a pagare a prezzi fuori mercato il cibo e le
bevande forniti dai caporali. Inoltre, in caso di ribellione, i loro documenti venivano requisiti. Leggi…

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