Incinta di 6 mesi costretta a prostituirsi i suoi aguzzini la costringono ad abortire

La Repubblica

 

di GIUSEPPE SCARPA

Condannati gli sfruttatori. “Dopo quello che mi hanno fatto ho smesso di avere paura di loro”

Sei pastiglie, quaranta minuti e un cesso di una casa della periferia romana per strappare dal ventre materno il maschietto di sei mesi che portava nel grembo. Era questo l’ostacolo al business di due papponi. Poi l’ultimo affronto alla madre: lo gettarono davanti ai suoi occhi in una busta di plastica e infine dentro un cassonetto della mondezza.

“Dopo quello che mi hanno fatto ho smesso di avere paura di loro”. Era venuta in Italia dalla Romania con la promessa di un lavoro in un asilo nido e l’obbiettivo di consegnare un futuro dignitoso al bimbo di tre mesi che già portava in grembo.

Invece due suoi connazionali gli hanno spalancato le porte dell’inferno: l’obbligo di battere sul lungomare di Ostia e l’aborto con le pastiglie chimiche. Alla fine di tutto Paola (il nome è di fantasia) ha “smesso di avere paura di loro”, fino ad accompagnare i suoi aguzzini, dopo otto anni, dietro alle sbarre. Tre anni di reclusione a testa ad una coppietta, Petre Enache di 53 anni e Dorina Enache di 54 anni, per sfruttamento della prostituzione e interruzione della gravidanza senza il consenso della madre.

Appena varcato l’uscio di casa di Dorina e Petre, Paola capì che la storia dell’asilo nido era un pacco. Ma era troppo tardi, sola, indifesa, incinta, senza un soldo in tasca e a centinaia di chilometri da casa era la preda prelibata dei suoi due “pescecani”. Sotto minaccia venne gettata in mezzo a una strada fino al quinto mese di gravidanza. Dal sesto in poi non era più possibile, era troppo grossa: “Mi diedero delle pastiglie per abortire. Io non volevo.

Feci finta di prenderle e non le ingerii. Volevo tornare in Romania per partorire, rivolevo la mia vita”. Niente da fare per Paola. Lei era sotto controllo e quelle pasticche doveva prenderle. Era l’antivigilia di Natale, il 23 dicembre del 2004. “Enache Dorina entrò in bagno con me e mi obbligò davanti a lei a prendere le pastiglie”.

Sei in tutto, tre per via orale ed altrettante per via vaginale. “Dopo mezz’ora, un’ora mi sono sentita male  come se nella pancia fosse esplosa una bomba. E ho sentito il bambino, ho sentito il bambino che scivolava via e ho detto ecco qua..” Paola è in una pozza di sangue senza forze ma riesce a vedere: “Dorina ha preso il bambino e lo ha messo dentro una busta. Era un maschietto”. Poi la corsa all’ospedale Grassi per Paola mentre suo figlio veniva gettato in un cassonetto. “Mi hanno lasciato su una sedia all’ingresso dell’ospedale ero piena di sangue e sono spariti”.

Ma l’incubo non era finito. Dopo tre giorni di ospedale vanno a riprendersela. E in poco tempo è di nuovo su un marciapiede. Ma lei non aveva più paura di loro. E allora la decisione di scappare e denunciare i due “pescecani”.
“Adesso la ragazza  –  spiega Maria Cristina Cerrato il legale che l’ha difesa – sta bene, si prendono cura di lei nel centro antitratta gestito dall’associazione Differenza donne”. L’incubo è finito.

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