La Nuova Sardegna

In aula i primi testi chiamati a far luce sulla riduzione in schiavitù di giovanissime nigeriane.
In città il cuore dell’inchiesta
di Nadia Cossu
SASSARI. “Terra promessa” era il nome che i carabinieri di Sassari avevano dato all’operazione
partita nel 2006 (l’inchiesta era della Dda di Cagliari) e conclusa nel 2012. Due parole che
racchiudono perfettamente lo spirito con il quale giovanissime donne venivano “convinte” a lasciare
il paese d’origine per raggiungere il sogno di un futuro migliore. Ieri mattina, davanti ai giudici
della corte d’assise, si è aperto il processo che vede dieci persone accusate a vario titolo di
associazione per delinquere finalizzata al traffico di esseri umani, riduzione e mantenimento in
schiavitù, tratta di persone, reati in materia di prostituzione e favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina. Sono in tutto dieci, al momento, i nigeriani imputati (assistiti dagli avvocati Marco
Costa, Adriano Sollai, Alberto Tucci, Filippo Maria Malara, Andrea Roggiero, Michela Stefania
Porcile, Franco Villa, Gian Claudio Bruzzone e Alessandro Mori) mentre sul fronte dell’accusa il
pubblico ministero della Dda, Paolo de Angelis, è il titolare di questa delicata inchiesta: donne
giovanissime vendute dalle loro famiglie, molto povere, per 1500 o 2000 euro – quando andava
bene – a un’organizzazione criminale che operava in tutta Italia e nel Nord Sardegna, tra Sassari
(dove si era stabilito uno dei punti di forza dell’associazione) e Olbia. Diciassettenni ma anche
ventenni e trentenni costrette a prostituirsi, “affidate” alle madame meretrici che le tenevano sotto
controllo con la minaccia di utilizzare riti magici e pozioni qualora avessero disobbedito provando
ad allontanarsi dalla strada. E, come se non bastasse, date in spose a mariti consenzienti –
rigorosamente italiani – al prezzo di circa settemila euro per ottenere la cittadinanza. Un triste
matrimonio “a tempo” suggellato grazie a un traffico di documenti falsi. Denunce e arresti erano
stati eseguiti nell’estate di due anni fa dai carabinieri del nucleo investigativo di Sassari in
collaborazione con i colleghi di Olbia, Roma, Genova, Treviso, Prato, Arezzo, Caserta e Parma e
con l’Interpol. L’attività investigativa era stata chiamata “Terra promessa 2” perché in realtà si
trattava della seconda fase di un’indagine cominciata nel 2006 – sotto il coordinamento della Dda di
Cagliari e in particolare del pm Paolo De Angelis – in seguito alla denuncia di una donna nigeriana
che, arrivata clandestinamente a Olbia con la promessa di un lavoro regolare, era stata invece
costretta a prostituirsi. Lei però aveva avuto la forza e il coraggio di ribellarsi ai ricatti. Rivoleva la
libertà e per questo si era rivolta ai militari. Da quel momento erano partite tutta una serie di attività
tecniche e servizi di osservazione e controllo che avevano permesso ai carabinieri di scoprire
un’associazione attiva in tutto il Nord Sardegna e finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.
L’indagine negli anni è andata avanti fino a individuare l’organizzazione internazionale che aveva il
compito di far arrivare clandestinamente in Europa uomini e donne da avviare poi al lavoro nero e
alla prostituzione. Si occupavano di tutto: il reclutamento in patria, la fornitura di documenti falsi, il
trasferimento in auto verso le coste nordafricane e poi in quelle europee. Ciascun componente
dell’organizzazione aveva un ruolo preciso. A Sassari c’era una donna nigeriana di 44 anni che
secondo gli investigatori gestiva insieme a un connazionale di 49 anni tutte le fasi principali
dell’attività di sfruttamento. Ieri è stato affidato a un perito l’incarico per la trascrizione di una mole

di intercettazioni – tutte in lingua nigeriana – ed è stato sentito il maggiore Giuseppe Urpi,
comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Sassari.

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