La Nuova Sardegna

 

di Kety Sanna

Secondo il pm della Dda di Cagliari, due allevatori di Ottana avrebbero sottoposto due romeni a orari di lavoro durissimi, minacce continue e momenti di segregazione all’interno dell’ovile

 

NUORO. Siedono sul banco degli imputati al fianco dei loro legali, gli avvocati Mario e Francesco Lai. Per Antonio e Pietrino Dettori, ieri è stato l’inizio vero del processo che li vede protagonisti di una singolare vicenda risalente a tre anni fa. Sono infatti accusati di riduzione in schiavitù nei confronti di due ex dipendenti romeni. Antonio, ultraottantenne, corpo minuto, sembra spaesato davanti allo schieramento della Corte d’Assise: al centro il presidente Antonio Luigi Demuro seguito dal giudice a latere Claudio Cozzella e dai nove giudici popolari in fascia tricolore. L’anziano imputato ascolta in silenzio e aspetta che tutto scorra. Fa quasi tenerezza.

La difesa dovrà smontare il pesante quadro accusatorio che vede protagonisti lui e uno dei suoi figli, ossia l’aver ridotto in uno stato inumano due ex dipendenti arrivati dalla Romania. Secondo l’accusa infatti, rappresentata dal pubblico ministero Guido Pani, della Dda di Cagliari, l’anziano e il figlio avrebbero sottoposto i due cittadini romeni, Mariano Cullan e Livio Ganga, a orari di lavoro durissimo, minacce continue e persino momenti di segregazione all’interno dell’ovile.

La vicenda si sarebbe inoltre complicata con l’arrivo di una connazionale, anche lei sfruttata e vessata dai due ottanesi (in particolare dall’anziano al quale viene contestato oltre all’articolo 600 del codice penale: chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni, anche l’articolo 609 bis, violenza sessuale).

Ieri sono stati sentiti i primi testi della lista del pubblico ministero, i carabinieri che presero la denuncia dei due giovani ed effettuarono il sopralluogo nell’ovile a brevissima distanza dal centro abitato di Ottana.

La parte lesa, i tre cittadini romeni non si sono costituiti parte civile, e non si sono neppure presentati in aula nonostante abbiano ricevuto la convocazione. Non si esclude, infatti che per poterli sentire occorrerà organizzare un’udienza in video conferenza, a patto che, ha chiesto la difesa degli imputati: «Si possa mandare un nostro ufficiale di polizia giudiziaria in Romania per far sì che le cose si svolgano nella maniera giusta e si evitino contaminazioni tra i testi».

Primo ad essere sentito il comandante della stazione dei carabinieri di Sarule, il maresciallo Marco Valsasna, che la sera del 18 maggio era stato chiamato dai colleghi della Compagnia di Ottana perché si recasse in paese. «Occorreva fare un sopralluogo nelle campagne – ha raccontato il militare – in località Muntone, a breve distanza dal rifornitore Esso sulla 131 Dcn. Accompagnati da uno dei giovani romeni che avevano sporto denuncia, andammo a verificare lo stato dell’azienda agricola in cui lavoravano e vivevano. Ci fermammo davanti a un cancello chiuso che venne aperto dal giovane romeno, che parlava con noi in un italiano stentato. Arrivammo nell’azienda, in quella che era la loro casa: una stanza 4×4 con un lavandino, un mobile vecchio, un televisore e un letto. Il bagno era all’esterno, vicino alla sala mungitura».

Dopo di lui è toccato al maresciallo Mario Melosu, incaricato, nel corso delle indagini, «di verificare movimenti di denaro da parte degli imputati alle presunte vittime» ha dichiarato il carabiniere che alla domanda specifica rivolta dall’avvocato Mario Lai, “se avesse mai allargato i controlli anche ai familiari dei due imputati”, ha risposto negativamente. I difensori dei Dettori hanno infatti prodotto alla Corte una serie di ricevute di ricarica fatte dal fratello dell’imputato al numero di un cellulare degli ex dipendenti romeni. Dimostrazione del fatto che, non solo che i due operai avevano un telefonino, ma che i pagamenti nei loro confronti venivano spesso fatti anche da persone vicine ai loro datori di lavoro “schiavisti”. Nel corso della prossima udienza, fissata per il 22 febbraio, la Corte d’Assise si sposterà a Ottana per effettuare un sopralluogo nell’azienda agricola dei due imputati. Quel giorno, forse, si avranno anche notizie in merito all’eventuale audizione in video conferenza con le presunte vittime di Antonio e Pietrino Dettori.

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